domenica 23 novembre 2014

La cultura pedagogica del terzo tipo

Ieri si è svolto a Voghera il Convegno "I primi 1000 giorni di vita" organizzato da Asilo Nido Ama Voghera. Insieme alla collega e amica Monica D'Alessandro Pozzi siamo stati invitati per un intervento inerente l'Educazione. Ecco l'estratto di ciò che abbiamo raccontato.


Educazione naturale vs Educazione professionale
La cultura pedagogica del terzo tipo
di Alessandro Curti e Monica D'Alessandro Pozzi

"Quando nasce un bambino non sempre nasce un genitore".

Non si diventa genitori nel momento in cui si concepisce un bambino: si diventa madri o padri nel momento in cui si sceglie di educare quel bambino.
Ma da dove nasce la cultura pedagogica che ci sostiene nel complesso compito di educare i propri figli? Da dove si attingono risorse e saperi da tradurre in agiti pedagogici?
L'educazione nasce naturale e nel passato la trasmissione dei saperi avveniva nelle famiglie allargate: erano l'esempio e le esperienze vissute e narrate da nonni, genitori e zii che formavano i novelli genitori e li trasformavano da “educandi” (nel loro ruolo di figli) ad “educatori” (nel loro nuovo ruolo di madre e padre).
Le trasformazioni sociali hanno però fatto sempre più scomparire questi grandi clan familiari che si sostenevano e aiutavano vicendevolmente. La necessità di portare a casa due stipendi per far fronte alle nuove necessità economiche e l'allungamento del ciclo produttivo che allontana sempre di più il momento dell'uscita dal mondo del lavoro hanno diminuito il tempo a disposizione dei figli rendendo necessaria la nascita dell'educazione professionale in sostituzione di quella naturale.
Genitori e nonni ancora e troppo impiegati nel mondo del lavoro hanno sollecitato la nascita di servizi educativi a cui delegare il compito di cura ed educazione della prole.
La necessaria formazione di “educazioni professionali” è stata demandata a scuole ed università che attingendo ai saperi filosofici, pedagogici e psicologici hanno creato una cultura apparentemente “alta” non a misura di genitore.
Asili nido, scuole di ogni ordine e grado, servizi ricreativi ed educativi, società sporitve, oratori hanno assunto il compito di sostituire il ruolo genitoriale nella quotidianità.
Nulla di nuovo: solo una descrizione – forse nemmeno troppo originale – della situazione in cui viviamo oggi.
Il processo però porta con sé dei rischi.
La professionalizzazione dell'educazione è evidentemente necessaria, per evitare che “chiunque” si improvvisi in una mansione così importante senza avere gli strumenti idonei ad esperirla ma, dall'altro lato, rischia di indurre gli operatori a peccare di superiorità rispetto alla famiglia relegandola ad un ruolo marginale.
D'altro canto i genitori, attraverso la decisione più o meno volontaria di delegare la cura dei propri figli a dei professionisti, si sentono delegittimati e depauperati del loro ruolo naturale e rischiano di peccare in “eccesso di delega” sollevandosi dall'incarico di assunzione di responsabilità.
Sembra che in questo momento, quindi, sia necessario ritrovare una connessione tra educazione naturale e professionale che si stanno allontanando perdendo la giusta complementarietà ed alleanza per restituire il valore di cura ad ogni soggetto coinvolto e costruire una cultura pedagogica che sia in grado di fondere il sapere pedagogico con le prassi educative quotidiane.
Ma dove si può ritrovare un luogo in cui la “trasmissione del sapere” sia possibile se “il cortile” di una volta non esiste più? Se non esistono spazi di condivisione e di c-costruzione e di scambio?
La risposta viene dalla rete: un luogo virtuale dove la condivisione è possibile a dispetto della vicinanza fisica. Espressione di questa necessità di scambio è la nascita di infiniti blog, piattaforme, forum in cui tecno-madri e tecno-padri cercano occasioni formative e di supporto al ruolo educativo ponendo domande e fornendo tentativi di risposte.
Il mondo dell'educazione naturale e di quella professionale però sembrano restare ancora molto distanti e distaccati perché manca, a mio parere, la costruzione di un linguaggio comune che faciliti il dialogo. I professionisti dell'educazione, per necessità o per vanto, utilizzano ancora un linguaggio tecnico (e a volte poco concreto) che non viene riconosciuto dalle famiglie come utile ai bisogni (espressi o latenti che siano) nel tentativo (forse?) di mantenere quella superiorità intellettuale che conferma la necessità della sua presenza nel pieno rispetto di quella legge sistemica che afferma che un sistema lavora per la sua sopravvivenza a discapito degli altri sistemi.
Anche questo intervento, provocatoriamente, vuole indurre questo pensiero.
Per stuzzicare in ognuno di noi quella sensazione di deja-vu che porta gli educatori naturali a pensare “Ecco: un altro spocchioso tecnico dell'educazione che ci vuole insegnare come si educano i nostri figli” e gli educatori professionali a sentirsi tranquilli nella condivisione di un linguaggio che appartiene loro e che ne conferma l'esistenza.
Ma io, oltre ad essere un educatore ed un pedagogista, sono anche un genitore. Sono quello che un collega e amico definisce “educatore del terzo tipo” cioè colui che si occupa di educazione professionale e naturale.
E so per esperienza che tra i due mi risulta più semplice il ruolo professionale perché quello naturale mi crea quell'ansia e quel timore che accomunano tutti i genitori di questo millennio.
La risorsa, credo, è proprio quella di accomunare i due saperi – ciò che ho studiato e ciò che ho imparato nel rapporto con altri genitori, primi fra tutti i miei e che ho vissuto come figlio – nel tentativo di offrire a mia figlia il padre migliore che riesco ad essere.

E in tema di accomunare i saperi voglio soffermarmi sul pensiero che molti genitori si trovano ad affrontare quando riconoscono, per differenti e spesso urgenti motivi (il rientro lavoro, ad esempio), di dover “lasciare” il proprio bambino o la propria bambina, letteralmente nelle mani di “altri”.
E anche in questo caso il confronto tra chi ci è già passato è motivo di rassicurazione e confronto; il dialogo promuove buone prassi educative, aiuta a mettersi in discussione; difficile trovare ogni volta una risposta “univoca”( credo davvero che sia difficile trovarne una che vada bene per tutti. E questo viene confermato sia dall'educazione al naturale che da quella professionale...siamo soliti e coscienti nel dire che ogni bambino e ogni bambina sono a sé, unici).
Succede anche di mettersi online per capire, scovare”ricette” per comprendere meglio “il come e cosa fare”.
Alla fine arriva l'invito ad un incontro davanti a un caffè; il famoso caffè pedagogico. E il ritorno dall'esperienza virtuale, la conoscenza o i dubbi, vengono condivisi di nuovo nel piccolo, nel “cortile”, nell'ingresso all'asilo,da cui si era partiti per diventare piazza.
Condividere davvero la scelta educativa dei nostri figli con chi si occupa di loro è un atto di grande fiducia. Significa dare senso e portare avanti un “progetto educativo” che viene calato nella quotidianità.
“Se all'asilo ormai sono capace di mangiare da solo...prova anche a casa a lasciarmi il cucchiaio, anche se sporco un po' in giro, ma ce la faccio”; potrebbe essere una risposta “pensata”, non riuscirebbe ancora, forse a dirla di un bambino o una bambina alla prime cucchiaiate. Un pensiero di “connessione” tra un piccolo e un grande che provano a dialogare.
Il piccolo prova con il suo disappunto a dire”no, ce la faccio io”. Il grande, davanti a questa “ribellione”, trova aiuto e dialogo con l'educatrice di riferimento che gli spiega che il momento è arrivato “lascialo fare”.

Da qui comincia un cammino tra persone che si interrogano e provano a offrire gioia a chi con fiducia condivide momenti di vita con noi, educatori , mi piace dire, al confine. Un confine labile che trova soluzioni con e insieme all'altro. E si cresce, “virtualmente e non”.


Partecipare, come Educatori e Consulenti Pedagogici, ad un Convegno in qualità di professionisti riconosciuti accanto a Pediatri, Neuropsichiatri Infantili, Infermieri, Nutrizionisti e Assistenti Sociali è stato certamente importante ma, ancora più importante per me, è stato trovare (e ri-trovare) un clima di progettazione e di scambio di visioni pedagogiche che da un po' mi mancava.
Un ringraziamento particolare a Monica ed Elisa (soprattutto per il caffé e le risate).

E a Sara che fa tutto questo per amore.

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