domenica 22 giugno 2014

Scuola: quando un 4 diventa un 6


Mi ero ripromesso di non scrivere nulla sulla scuola fino a quando questa non fosse terminata (esami compresi). Le fatiche, il caldo e i tempi impegnatissimi di questo periodo giocavano a mio favore.
Ma.
Leggendo a destra e a sinistra mi imbatto in un post che parla di valutazione a scuola. 
"Il voto corrompe. Il voto divide. Il voto classifica. Il voto separa. Il voto è il più subdolo disintegratore di una comunità. Il voto cancella le storie, il cammino, lo sforzo e l’impegno del fare insieme. Il voto è brutale, premia e punisce, esalta ed umilia. Il voto sbaglia, nel momento che sancisce, inciampa nel variabile umano. Il voto dimentica da dove si viene. Il voto non è il volto."
Ecco quanto si legge (probabilmente estrapolato, in quanto non virgolettato) del pensiero della maestra.
Un pensiero condiviso e condivisibile.
Anche da me, che sto scrivendo in questo momento.
Perché penso alla mia bambina e ai suoi compagnetti di seconda elementare. Me li vedo sorridenti tra i loro banchi con i quadernoni colorati pieni di scritte in (quasi) bella grafia e di disegni (più o meno) colorati. Cerco di immaginarmeli (per la proiezione che, da genitore, ho a casa quando fanno i compiti) impegnati nel ripetere alla maestra le tabelline, a leggere le storie proposte sui loro libri. Me li figuro affascinati dalle novità che apprendono quotidianamente e che escono dalla bocca della loro maestra.

"Dove l'hai imparata questa cosa?" chiedo spesso a mia figlia quando mi illumina con perle di saggezza che non avrei ritenuto possibili a sette anni.
"Me l'ha detto la maestra." è la sua risposta semplice ma lapidaria.
Perché quello che dice la maestra è vero, sacrosanto ed incontrovertibile. Ed è giusto che sia così, almeno per ora.
Ecco perché mi piace quando leggo, nel post sopracitato, la "valutazione" che era solito usare il maestro Manzi.
Ha fatto quel che può, quel che non può non fa
Poi però, come spesso mi accade, smetto di essere romantico e torno con i piedi per terra.
E ripenso agli ultimi tre anni durante i quali, per professione, ho avuto il privilegio di osservare dall'interno una classe nella sua evoluzione dalla prima alla terza media.
E qui, diversamente da come faccio per mia figlia, mi baso su osservazioni concrete da me direttamente effettuate e non su proiezioni fantastiche.
E mi vengono in mente i due A. portatori dello stesso nome ma diametralmente opposti nell'approccio con la scuola: uno silenzioso, studioso, educato, impegnato, sempre pronto ad aiutare gli altri; l'altro irriverente, sfaticato, poco educato nei confronti dei docenti, sempre pronto a disturbare.
Neanche a dirlo i risultati dei due A. sono differenti: il primo pieno di otto-nove-dieci e l'altro trincerato dietro i suoi due-tre-quattro da finto bulletto di periferia.
Al mio sguardo di educatore appare evidente che dietro a questi voti ci siano dei volti e delle storie differenti. Sembra quasi banale sottolineare che il "bulletto-semiasino" nasconda dietro i suoi comportamenti l'estrema fatica di studiare, la difficoltà a capire i concetti, la paura di essere etichettato "solo" come l'ignorante che va male a scuola. E allora reagisce disturbando, nascondendo dietro al suo essere rumoroso e irriverente la paura del fallimento.
Ma non è così anche per l'altro A.? Perché dare per scontato che per lui sia tutto più facile, più naturale? Ho visto anche sul suo volto la paura del fallimento e la delusione per un risultato non raggiunto. Pochi (forse nessuno) hanno notato quanto tristezza c'era nei suoi occhi davanti ad un 8 ottenuto in una verifica. Perché per un ragazzino che aveva passato giorni e giorni a studiare quel voto ha significato un fallimento.
Anche se ai più può sembrare stupido.

Ed è vero che il voto classifica.

Ma mi vengono alla mente anche C. e S. altri due ragazzetti che in questi anni ho potuto osservare quasi scientificamente.
Il loro andamento è stato sempre altalenante, tra alti e bassi, caratterizzato dall'essere sempre sotto la sufficienza, ogni anno. Sempre a rischio bocciatura.
Mai bocciati però. 
Perché in nome del principio per cui "il voto cancella le storie e le persone" accadono delle magie strane alla fine di ogni scolastico.
Accade (spesso?) che i 4 si trasformino in 6.
E che - a dispetto di impegno ed educazione - anche chi avrebbe dovuto ripetere la classe (per mancanza di risultati raggiunti) si trovi proiettato in quella successiva o ammesso agli esami.
In nome di cosa?
Dell'ingiustezza della valutazione.
Della personalizzazione dei percorsi.
Della critica al sistema scolastico.

Un pensiero mi martella però la mente in questo momento. Ed è questo il vero motivo per cui, nonostante mi fossi ripromesso di non farlo, sto scrivendo questo post.
"Il voto è brutale, premia e punisce, esalta e umilia."
Si. 
Ma non sempre nel modo in cui saremmo portati a pensare.
Perché nei volti di quei 20 ragazzetti che ho visto per tre anni dietro ai loro banchi e nei corridoi durante l'intervallo l'umiliazione maggiore l'ho notata proprio in A.
Il secchione.
Quello bravo, educato, composto, attento e impegnato.
Perché lui i suoi otto in pagella se li è guadagnati, meritati e sudati.
Gli altri hanno avuto dei 6 che erano il frutto di una magia.
E non mi sembra proprio vero che ognuno abbia fatto quel che può.

Perché qualcuno, con questo metodo, ha solo imparato che nella vita le cose non bisogna sudarsele e guadagnarsele con il proprio impegno.
Tanto quel che non puoi (vuoi) fare, lo farà qualcun altro per te.
Che razza di messaggio educativo è questo?


Corollario
"Ragazzi oggi interrogo. Ve l'avevo detto. C'è qualcuno pronto che si offre volontario?"
Ho sentito questa frase decine di volte, settimana dopo settimana, per tre anni. E nei momenti in cui nessuno si sentiva pronto (= aveva studiato) la prof rimandava l'interrogazione alla settimana successiva.
Qualcuno ha preso due perché alla fine dell'anno non aveva mai trovato il tempo, il modo o il coraggio di farsi interrogare.
Il "fare insieme" presuppone lo sforzo del docente ma anche l'impegno dell'alunno.
Non si può remare da soli quando in barca si è in due.

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