sabato 8 marzo 2014

Di assistenti sociali e traumi infantili

Mio padre usava la mazza da baseball. Me la picchiava sotto la pianta dei piedi perché lì c'erano le terminazioni nervose e sentivi dolore fino al cervello. Però non si formavano i lividi, così nessuno se ne sarebbe mai accorto.
La mamma mi ha portato al mercato ed io ero contento di stare con lei quel giorno. Poi lei è andata a fare un giro con le sue amiche e mi ha lasciato da solo. Avevo 5 anni. Mi ha abbandonato?
Di notte cadevano le bombe e l'unica cosa che riuscivi a sperare era che non cadessero su casa tua. Poi al mattino uscivi di casa e scoprivi quale dei tuoi amici non avresti più rivisto. Secondo te era brutto essere contento che non fosse capitato a te?
Papà legava la mamma alla sedia e la picchiava e poi usciva. Ma prima ci diceva di non slegarla altrimenti avrebbe picchiato anche noi come lei.
Mia madre si era innamorata di quell'uomo e ha deciso di seguirlo. Vivevamo in una comune.  Quando io facevo qualcosa di sbagliato per punirmi mi picchiavano sui testicoli oppure mi immergevano la testa in un secchio d'acqua. Così, dicevano, avrei capito dove sbagliavo. Intanto mia madre pregava insieme a loro. E non faceva nulla.
Io urlavo sempre perché volevo che i miei mi sentissero. Ma non potevano perché erano sordi. Ed io ero sempre arrabbiato perché non mi ascoltavano. E spaccavo tutto. Per farmi sentire.
La mamma cucinava per me e i miei fratelli e puliva sempre la casa. Non sapeva però quello che facevamo quando uscivamo in cortile. C'era sempre quel tizio che ci dava cinquantamila lire se consegnavamo un pacchetto quattro palazzi più avanti. Io non ho mai chiesto cosa ci fosse nei pacchetti. Ma so che non c'era nulla di buono.

Queste sono solo alcuni dei racconti che ho ascoltato nei quasi vent'anni che ho passato facendo l'educatore in comunità. Narrazioni di ragazzi che hanno scelto, dopo essere stati sradicati dalle loro famiglie, di confidarsi e affidarsi alla struttura che li ospitava. Tradendo, qualche volta, il loro sistema familiare.
Sono forse un centesimo delle storie che ho sentito. E sono certo che per ogni storia che ho ascoltato ce ne sono almeno un centinaio che non hanno avuto il coraggio di emergere, di essere narrate.

Poi ci sono trasmissioni televisive che raccontano di assistenti sociali che "rubano i bambini" che ingiustamente verrebbero sradicati dalle loro famiglie e dai loro affetti. Qualche volta perché la casa non è pulita...
Ma le trasmissioni televisive fanno il loro lavoro: puntano al sensazionalismo per raggiungere uno share che permetta loro di sopravvivere.
Perché ragionano come ogni organizzazione che ha come primo obiettivo la propria sopravvivenza.
Anche se cercano di fare un giornalismo di denuncia. 
E non ce l'ho con loro perché so che funziona così.

Come so che ci sono operatori sociali (anche assistenti sociali) che non sono in grado di svolgere il proprio lavoro perché non ne hanno la capacità, la giusta preparazione o l'etica necessaria. 
Ma vale lo stesso per qualche cassiera del supermercato, impiegato delle poste, idraulico o insegnante.
Senza che la categoria tutta venga additata e stigmatizzata per questo.

Non voglio attaccare o difendere la categoria delle assistenti sociali.

Sono solo infastidito da chi, senza avere le giuste informazioni, accetta passivamente ciò che propongono le trasmissioni tv e che vengono rimbalzate dai social o coloro che, in modo strumentale, cavalcano l'onda per raggiungere i propri obiettivi senza discriminare su chi potrebbe fungere da cassa di risonanza.

In nome dei traumi di quei poveri bambini strappati ingiustamente dalle loro famiglie.

Ascoltate solo qualcuna delle storie che ho sentito io. Che hanno ascoltato anche altri.
Poi ne riparliamo.

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