mercoledì 5 febbraio 2014

Campare di educazione


In Italia c'è crisi e questa non è una novità. Una crisi economica e lavorativa che colpisce tutti i settori, produttivi e non.
Non è strano quindi, gironzolando per la rete, leggere post o commenti (soprattutto sui social) che trattano questo argomento.
Problemi ad erogare credito o microcredito soprattutto alle piccole e medie imprese, aumento delle tasse dirette ed indirette, tagli a tutti i settori pubblici...

Come sempre, in momenti di ristrettezze economiche come queste, il mondo del sociale è il primo a vedersi falcidiati i finanziamenti. 
Come se il welfare non fosse una priorità.

Ma non è una lezione di politica economica che intendo fare. Non ne sarei capace nemmeno se volessi...

Leggo spesso - appunto sui social - educatori che lamentano la mancanza di lavoro, ragazzi che si sono laureati da uno o due anni che non sono ancora riusciti ad avere la prima esperienza professionale... con tutto quello che ne consegue: rivendicazioni sui titoli più o meno riconosciuti (con minacce di class action contro le università colpevoli di moltiplicare le possibilità formative senza adeguarsi al mercato del lavoro), aggressività verso 'altre professionalità' che (in nome della crisi) effettuano invasioni di campo ' rubando' il lavoro; corsi, microcorsi, kit, libri, cd ed audiocassette (queste per fortuna ormai no, sono scomparse) che promettono di farti raggiungere presto e bene il tanto agognato obiettivo di portare a casa lo stipendio a fine mese.

Premetto che da questo punto di vista mi sento un privilegiato perché la crisi (non diciamolo troppo ad alta voce!) non ha influito sulla mia attività professionale né oggi né mai da quando sono entrato nel mondo del lavoro.
E so che questa è una fortuna, che purtroppo non capita a tutti.
Non è quindi dal mio "piedistallo" che voglio distribuire consigli o perle di saggezza.
Come sempre attingo dalla mia esperienza, dall'osservazione di ciò (di chi) mi circonda.
Perché ho intorno a me persone che la crisi l'hanno sentita (e la sentono ancora): donne autonome che devono sobbarcarsi la gestione [economica] della loro vita senza nessun appoggio, padri di famiglia che sentono il senso di responsabilità verso i loro figli [e verso quelle madri di famiglia loro compagne/mogli che, da sole, non potrebbero garantire la sicurezza], coppie che arrancano nell'arrivare a fine mese perché le entrate sono nettamente diminuite... e tutti lavorano nel campo dell'educazione.

Da qui la domanda.
Si può campare di educazione?

Una risposta io ce l'ho ed è che si deve campare di educazione. Perché l'educazione è uno dei fondamenti della nostra società atta a garantire il miglioramento dell'individuo e del gruppo a cui appartiene. Perché chi l'educazione l'ha scelta come professione (dedicando sé stesso, appunto, alla società a cui appartiene) ha il diritto di vivere il resto della giornata (quella non professionale) con dignità e tranquillità.

Certo, ma come si fa a campare di educazione?
Qui sta il nodo della questione, il problema a cui bisogna trovare la soluzione.
Come si fa? Come si può galleggiare in un momento di crisi economica mondiale (si, mondiale, che non riguarda solo il nostro piccolo! non dimentichiamolo...)?

Io credo che la professione educativa debba essere considerata come un progetto educativo.
Perché la società cambia e di conseguenza cambiano i bisogno che noi educatori/pedagogisti dovremmo saper analizzare.
Perché il primo strumento di un progetto educativo è proprio l'educatore/pedagogista e quindi il soggetto deve osservare sé stesso e capire quali sono i suoi punti di forza, i suoi limiti, come declinarli in un'azione che porti [con tutte le variazioni in corso d'opera] all'obiettivo che si vuole raggiungere.
Perché la comunicazione è cambiata e di conseguenza anche i modi, i tempi e i luoghi dell'educazione ed allora occorre trovare nuove strategie, dare spazio alla propria creatività calandola nel setting che altri hanno costruito per noi.
Perché anche il sistema di dipendenze a cui apparteniamo probabilmente è variato ed occorre, forse, osservarne nuovamente le dinamiche e capire quali processi di autonomia/attaccamento stiamo portando avanti, e se sono ancora validi oppure no.

Questo dovrebbe saper fare un buon educatore. E questo, secondo me, è il modo con cui si dovrebbe affrontare la crisi del welfare.
Perché di educazione (come vediamo tristemente ogni giorno) c'è un gran bisogno.
Si deve solo trovare il modo di renderla produttiva, per noi e per gli altri.

p.s. quando incontrerò i colleghi che mi hanno suscitato queste riflessioni per ringraziarli di un nuovo insegnamento offrirò loro un ottimo ginger pedagogico. alla salute!

#educareè

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