venerdì 8 marzo 2013

Una generazione di piagnoni?


So che culturalmente non sono certo ad un livello elevato, ma a me piace vedere i talent-show.
Mi piace la musica e la danza. Le nuove voci e gli stili emergenti.
Naturalmente, visto che questi programmi sono per nuovi talenti, strabordano di adolescenti e di giovani.
Mia moglie qualche giorno fa ha sottolineato un aspetto che non avevo notato.
"Ma questi piangono sempre e per ogni cosa. Noi alla loro età non piangevamo mai, era considerata una debolezza."
Cavolo, è proprio vero! Dopo che ha detto questa frase ho prestato più attenzione alla lacrima facile ed ho constatato che l'osservazione di mia moglie era proprio corretta. Piangono quando sono sotto pressione, quando vengono criticati, quando temono di essere eliminati, quando ricevono qualche conferma... 


Ho provato a ragionare su questa particolarità: è un'amplificazione dell'ex tubo catodico o le nuove generazioni hanno un modo diverso di affrontare le emozioni?
La gestione delle emozioni non è mai stato un affare semplice per nessuno e di sicuro è ancora più complesso in adolescenza. Quando poi si tratta di emozioni molto forti la faccenda si complica ulteriormente.

Posto che il ragionamento non è (ovviamente) imperniato su ciò che accade nei talent-show mi domando se questa osservazione sia estendibile ad un target più ampio di adolescenti e (se si) quale sia la motivazione di questo cambiamento.
Il primo aspetto che mi viene in mente è che la mia generazione è cresciuta con genitori e nonni che esternavano poco le emozioni: i gesti d'affetto erano presenti solo per i bambini, ma appena si cresceva un po' erano classificati come "roba da poppanti". Si scansavano i baci della mamma, quando qualcuno tentava di accarezzarti la testa la fuga era garantita...
Inoltre l'affettività fisica giungeva solo dal gender femminile perché i padri (e i nonni) erano più "gente da pacca sulle spalle". 
Anche nel gruppo sociale (soprattutto tra maschi) le emozioni erano "qualcosa da femminucce": se perdevi ad un gioco e ti arrabbiavi tantissimo per la frustrazione e ti salivano le lacrime agli occhi... le ricacciavi indietro a forza per non apparire come una mammoletta. E mai e poi mai accadeva che si verbalizzasse un sentimento verso un amico. 

Poi qualcosa è cambiato.
Le emozioni (giustamente) si sono traformate da "tabù" a "qualcosa che può anche essere mostrato".
Ma non troppo: perché un'apertura emotiva rappresenta comunque una debolezza con il rischio che qualcuno ne approfitti. Magari colpendo duro. A volte parecchio duro.
Oggi mi sembra invece che l'emozione sia diventata un po' una moda, un punto di forza, una sorta di "carta d'identità" con cui presentarsi.
Emozionarsi, esternare i propri sentimenti, ridere sguaiatamente, piangere pubblicamente, tappezzare muri o pagine di diari (reali o virtuali) di t.v.t.b. o t.a.d.b.p.s. sembrano non spaventare più nessuno.
Sminuendo forse il valore delle emozioni? 
Rendendole qualcosa da vendere o da comprare? 
Una sorta di merce di scambio?

E in famiglia? Cosa è cambiato nelle nuove famiglie?
Quale educazione alle emozioni?

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