sabato 26 gennaio 2013

Quale lezione di educazione alla cittadinanza?

Ieri ero a scuola, classe seconda media, lezione di educazione alla cittadinanza.
Una volta si chiamava educazione civica, oggi alla cittadinanza. Non capisco il motivo di questo cambio di definizione ma tant'è.
Sta di fatto che si parlava di organizzazione del governo italiano, della rappresentanza parlamentare e del diritto di voto.
Dico "si parlava" ma intendo "la prof parlava" perché di certo non si trattava di una lezione interattiva. I ragazzi (alcuni di loro perlomeno) al massimo ascoltavano, pochi capivano.
Non perché la docente non fosse brava o competente nella spiegazione. Tutt'altro. Il problema è che la materia era ostica. Quantomeno per dei dodicenni scalmanati.
Ma io ascoltavo.
Sto riscoprendo molte delle spiegazioni che - a 12 anni - mi annoiavano a morte.
Con la maturità raggiunta però mi sto appassionando. Anche grazie alla competenza della professoressa in questione.
Ma sto divagando dunque torniamo al nocciolo della questione.
Si parlava, appunto, dell'elezione della rappresentanza parlamentare. E ad un mese da questo evento io ascoltavo e intanto facevo un parallelo tra la teoria e la pratica.
"Il potere è del popolo che elegge i propri rappresentanti".
Come a dire "non possiamo governare tutti quanti, quindi scegliamo chi rappresenta noi (le nostre idee, i nostri stili di vita, i nostri obiettivi di benessere e di sviluppo) perché governi per nostro conto".
Basta però entrare in un qualsiasi bar o altro luogo di aggregazione e percepire, dai brandelli di conversazione, quanto l'attuale sentimento comune sia distante da questo principio.
Ecco quindi il nocciolo della questione: come si può parlare di educazione alla cittadinanza se la teoria è distante anni luce dalla realtà dei fatti?
Come si può "educare" qualcuno ad un qualcosa che non esiste?
L'esperienza di entrare nel bar e cogliere brandelli di conversazione l'ho fatta proprio poco prima di recarmi a scuola ed assistere a quella lezione.
Il brandello di conversazione era il seguente: "Ha promesso un milione di posti di lavoro. Visto che è un imprenditore se ne avesse creati un decimo di quanti ne aveva promessi tutti avrebbero baciato la terra dove cammina".
Al momento questa frase non mi ha fatto molto effetto. Già sentita tante volte quanti erano i posti di lavoro promessi.
Poi è accaduto un altro fatto: nello stesso bar è entrato un grosso esponente politico. Quando dico "grosso" intendo di quelli che non passano inosservati perchè fa parte di quei cinque o sei personaggi che sono riconoscibili veramente da chiunque.
E li chiamo "personaggi" per un motivo ben preciso: finché li si vede nei telegiornali, nei talk show o nei programmi di ogni ordine e grado sono "a due dimensioni", privi di profondità, quasi "astratti" nel loro proporsi. All'interno del bar ho però visto l'uomo, non il personaggio. Era decisamente tridimensionale, concreto, tangibile.
Ed era vecchio!
Non per la sua età anagrafica o per la distanza tra le idee da lui proposte e le mie.
Vecchio perché mi sembrava un uomo stanco, l'ombra di sé stesso. O meglio: di quel "sé stesso" che ci è stato proposto dai mass media e dalla sua propaganda elettorale.
Ma probabilmente vi sto annoiando.
O quanto meno vi starete chiedendo quale sia il nesso tra questo aneddoto e il tema del discorso.
Ebbene, eccolo!
I tre fatti messi insieme (la lezione di educazione alla cittadinanza, il brandello di conversazione e l'incontro fortuito con l'esponente politico) mi hanno fatto riflettere sull'assurdità della situazione.
Educare i giovani al tema dell'elezione della rappresentanza popolare?
Bislacco.
È l'unico termine che mi viene in mente.
Ho compreso perché - tra i tanti motivi che già avevo in mente - ad un dodicenne non interessava quella lezione.
Perché suonava falsa alle mie stesse orecchie, figuriamoci alle sue.
Come si può pensare di educare le nuove generazioni a qualcosa che di per sé non dà più fiducia a nessuno? Come è possibile sostenere un sistema che in questo momento sembra fallace anche al mondo adulto?
Ovviamente ritengo che rimanga fondamentale trasferire i principi su cui si basa la nostra Repubblica.
Principi che sono ancora validi e condivisibili, ma che faticano a trovare una loro rappresentazione nell'agito concreto e quotidiano.
La scuola - una delle principali agenzie educative - dovrebbe educare non solo alle conoscenze, ma anche allenare allo spirito critico dei giovani. Ma la scuola non può sopperire alle carenze di altre agenzie che sono necessariamente educative.
Il mondo della politica, teorico sunto della volontà popolare, deve assumersi il compito di rappresentare la legalità, l'etica, i valori su cui si deve fondare la società civile.
E solo questo potrà davvero essere educativo.

1 commento:

  1. Di sicuro del tuo post sono riuscita a trattenere solo alcuni tra i diversi spunti che hai offerto. Nello specifico ho sentito, ancora un volta, il sapore amaro di un’occasione persa e cioè di quell’insegnate che, attenendosi al suo programma didattico, avrebbe potuto aiutare i ragazzi a trovare un senso e uno sguardo critico tra la teoria presentata e i fatti quotidiani. L’oggetto (almeno per me!) non è molto importante, ma lo è l’essenza che tu riporti chiaramente e cioè il bisogno di aiutare i ragazzi a capire, a farsi un’opinione, ad andare oltre i luoghi comuni che, aihmè, stanno sostituendo la complessità.
    Peccato. Non sapremo mai come avrebbe potuto essere quella lezione.
    Continuo a sperare in allievi che possano uscire dalla classe un po’ scombussolati e con qualche punto interrogativo in faccia che vada a sostituire, l’ormai classico, eccheppalle!

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